Sara Roversi, founder Future Food Institute

Promuovere Benessere e Sostenibilità attraverso la Dieta Mediterranea: Intervista a Sara Roversi

Abbiamo incontrato Sara Roversi, fondatrice e presidente del Future Food Institute, per esplorare come la dieta mediterranea possa trasformarsi da patrimonio culturale a bussola operativa per la grande distribuzione: un modello di sostenibilità integrale che abbraccia salute delle persone, ambiente, economia e identità territoriale. Dal marketing alla rigenerazione dei sistemi alimentari, dalla visione all'algoritmo: la conversazione con chi sta costruendo il ponte tra Pollica e il retail italiano.

Dal Marketing alla Visione Sistemica del Cibo

Il tuo background imprenditoriale parte dal marketing e comunicazione (You Can Group, Unindustria Bologna), per poi evolvere verso l'innovazione alimentare sistemica. Qual è stato il momento o l'esperienza che ti ha fatto capire che il cibo poteva essere molto più di un business - diventando uno "strumento chiave per curare il mondo"?

Il mio percorso nasce da una profonda passione per l'imprenditorialità, la comunicazione strategica e il community engagement. Con You Can Group ho sperimentato fin da subito modelli innovativi di impresa capaci di generare valore economico, culturale e sociale. Abbiamo dato vita a luoghi e iniziative in cui il cibo diventava piattaforma di dialogo, creatività, sperimentazione e partecipazione.

In quegli anni, prima ancora che si parlasse di ecosistemi o di open innovation, stavamo già costruendo comunità attive, ibride, capaci di mettere in connessione persone e competenze, imprese e territori, in nome di un'economia più umana.

Ma è stato proprio lavorando sul campo, osservando da vicino i comportamenti emergenti, le fragilità delle filiere e i cambiamenti nelle abitudini di consumo, che ho compreso quanto il cibo fosse molto più di un settore produttivo: era una leva sistemicauna chiave di lettura del mondo. E soprattutto, uno strumento concreto per attivare trasformazioni profonde, in ogni ambito della società.

È stata una palestra straordinaria: mi ha insegnato a leggere i segnali deboli del cambiamento, ad ascoltare i bisogni delle persone e delle imprese, a costruire ecosistemi intorno a un'idea.

Ma qualcosa non mi bastava più. Perché comunicare un prodotto, se quel prodotto non ha impatto positivo sulla vita delle persone o del pianeta? In un mondo iperconnesso, ipercomplesso e vulnerabile, ho sentito il bisogno di passare dal branding alla sostanza. Di lavorare non per vendere meglio, ma per costruire modelli migliori.

Nella società post-industriale e globalizzata in cui viviamo, la rivoluzione digitale sta accelerando ogni processo, ma anche disgregando relazioni, culture, abitudini. Per questo oggi più che mai dobbiamo ri-imparare a riconoscere il valore del cibo: non come merce, ma come connettore universale tra uomo e natura, salute e cultura, tecnologia e tradizione.

Il cibo è vita, nutrimento, cura. È un linguaggio che ci definisce, ci educa, ci forma. Mangiare è un atto politico, ecologico, identitario. E se vogliamo davvero affrontare le sfide del nostro tempo - cambiamento climatico, malattie croniche, disuguaglianze - dobbiamo partire da qui.

Da questo sentire profondo è nato il Future Food Institute: un ecosistema ibrido, con un'anima filantropica e una imprenditoriale. Un laboratorio globale che genera conoscenza, forma talenti, supporta istituzioni e imprese. Lavoriamo ogni giorno per trasformare la consapevolezza in azione, l'innovazione in impatto, la ricerca in benessere diffuso.

Il messaggio che oggi rivolgo anche al mondo del retail è semplice ma radicale: non si tratta più solo di ottimizzare i margini, ma di abbracciare un nuovo ruolo sociale. Il punto vendita può diventare un luogo educativo, uno spazio di relazione, un acceleratore di scelte consapevoli. E questo, a mio avviso, è uno dei più grandi atti imprenditoriali del nostro tempo.

Ma la trasformazione riguarda anche il consumatore: è arrivato il momento di ridefinire cosa intendiamo per "convenienza". Per troppo tempo abbiamo associato il concetto al prezzo, alla promozione, al 3x2. Ma oggi dobbiamo chiederci: «Cosa mi conviene davvero, alla fine dei giochi?».

Mi conviene comprare tanto, a basso costo e di bassa qualità, per poi spendere in salute ciò che ho risparmiato sulla spesa? O mi conviene scegliere un cibo che cura, che previene, che nutre davvero il mio corpo, il mio territorio e la mia comunità?

Questa nuova ecologia della scelta è il cuore della rivoluzione alimentare che stiamo costruendo, insieme a chi ha il coraggio di cambiare.

 

La Scoperta della Dieta Mediterranea e la Scelta di Pollica

A un certo punto del tuo percorso sei arrivata alla dieta mediterranea: come nasce il grande amore per questo modello culturale e perché ti sei trasferita per buona parte del tempo a Pollica? Cosa rappresenta per te oggi la dieta mediterranea, per il tuo lavoro di catalizzatore di innovazioni sociali e sostenibili?

Ci sono sliding doors nella vita che sembrano piccole deviazioni, e invece cambiano tutto. A me è successo con Pollica, un incontro che ha trasformato il mio modo di vedere il mondo, il cibo, e il mio stesso lavoro.

La verità è che, come tanti, avevo sentito mille volte parlare di dieta mediterranea. Un'espressione che scivola via con leggerezza, spesso ridotta a una lista di alimenti. Ma confesso con onestà: non avevo mai letto davvero il dossier dell'Unesco che l'ha riconosciuta come patrimonio culturale immateriale dell'umanità. Non avevo mai approfondito il significato più profondo, valoriale, relazionale, sistemico.

È stato un americano a farmi scoprire Pollica - e trovo incredibile che sia stato un altro americano, Ancel Keys, a scegliere proprio Pollica per codificare scientificamente ciò che oggi chiamiamo "dieta mediterranea". Un paradosso meraviglioso, che ci ricorda quanto a volte gli sguardi esterni ci aiutino a vedere meglio le nostre radici.

Da quel momento, ho iniziato ad andare a fondo. A leggere, studiare, ascoltare. A vedere nella dieta mediterranea non solo un modello alimentare, ma un codice culturale e antropologico. Un sistema di relazioni che abbraccia biodiversità, stagionalità, convivialità, interdipendenza con il territorio. Un manifesto di sostenibilità integrale, scritto in secoli di equilibrio tra natura e cultura.

Quando ho camminato per la prima volta tra le colline di Pollica, ho sentito un'energia speciale. Quel luogo non era solo un borgo cilentano: era un laboratorio a cielo aperto dove questa saggezza millenaria poteva essere attualizzata, reinterpretata, trasmessa. È lì che è nato il Paideia Campus: uno spazio in cui formazione, ricerca e innovazione si fondono con la vita della comunità. Un luogo in cui la dieta mediterranea si vive, ogni giorno, non come nostalgia del passato, ma come visione del futuro.

Il nostro obiettivo è trasformare Pollica in un modello replicabile, una matrice da adattare ad altri territori marginali. Non per copiarla, ma per trasferirne il metodo, i valori, la visione. E qui entra in gioco anche il ruolo strategico della grande distribuzione organizzata.

Perché la grande distribuzione può, anzi deve, diventare alleata delle comunità localicustode delle microfiliereambasciatrice della qualità culturale del cibo. La scalabilità del modello mediterraneo non è solo nei prodotti che finiscono sugli scaffali, ma nei processi, nei legami, nella capacità di rigenerare economie e relazioni.

La dieta mediterranea non deve diventare l'ennesimo claim pubblicitario, ma può essere un criterio operativo per una distribuzione moderna, responsabile, che promuove salute, coesione sociale e sviluppo sostenibile. Un nuovo paradigma di prossimità culturale e nutrizionale.

 

IL PARADOSSO ITALIANO - L'ABBANDONO DELLA DIETA MEDITERRANEA

Solo il 5% degli adulti italiani segue pienamente la dieta mediterranea

83,8% ha aderenza moderata, 11,3% bassa aderenza

-20% frutta, -13% verdure, -11% olio d'oliva consumati dal 2000 a oggi

26% dei giovani non include cereali integrali nella dieta

Fonti: Studio Arianna - Istituto Superiore di Sanità 2024, Frontiers in Nutrition 2021

 

L'Algoritmo Mediterraneo: Trasformare MEDAS in Strumento Operativo

Il progetto Human&Green Retail Experience rappresenta il primo tentativo di tradurre la dieta mediterranea Unesco in un sistema operativo per la grande distribuzione organizzata. La sfida tecnica principale è adattare MEDAS - il sistema scientifico per valutare l'aderenza mediterranea individuale - alla classificazione di singoli prodotti commerciali. Esempio concreto: una salsa pronta con olio extravergine d'oliva, pomodoro San Marzano Dop e basilico - come la valutiamo scientificamente "mediterranea"? Quali parametri quantitativi saranno necessari per trasformare i criteri MEDAS in tool di category management?

Tradurre la dieta mediterranea da patrimonio immateriale dell'umanità a sistema operativo per la grande distribuzione organizzata è una sfida tanto tecnica quanto culturale. E forse, proprio questa seconda dimensione è la più delicata.

Perché stiamo parlando di un patrimonio che promuove l'agricoltura contadina, la stagionalità, il mangiare insieme attorno a una tavola, il rispetto del tempo, delle relazioni, del gesto di cucinare. Un'eredità che, a prima vista, sembra lontana anni luce dalle logiche della grande distribuzione.

Verrebbe quasi da dire: teniamo la dieta mediterranea fuori dal retail. E invece no. Proprio oggi dobbiamo fare il contrario: portare la campagna vera anche dentro il retail, avvicinare il cittadino alla terra, creare un ponte sistemico tra piazze, aziende agricole, comunità e punti vendita.

Il progetto Human&Green Retail Experience nasce esattamente da qui: dalla volontà di trasformare la dieta mediterranea non in un claim nostalgico, ma in un criterio concreto di progettazione della distribuzione alimentare contemporanea. Un modo per restituire al retail il suo potenziale trasformativo, riconoscendogli anche un ruolo sociale ed educativo.

La chiave operativa è stata la trasformazione del sistema Medas, originariamente pensato per misurare l'aderenza mediterranea degli individui, in uno strumento oggettivo di valutazione dei prodotti. Un lavoro di ricerca che abbiamo condotto con rigore, consapevoli che senza basi scientifiche rischiamo di alimentare mode, non cambiamenti reali.

Siamo partiti da domande molto pratiche:

  • Come valutiamo un prodotto industriale in chiave "dieta mediterranea"?
  • Quanto incide la qualità dell'olio, la provenienza del pomodoro, il metodo di trasformazione?
  • Possiamo costruire una metrica che traduca la cultura in numeri, senza svuotarla di significato?

La risposta è stata un sistema di scoring da 0 a 100, sviluppato su una matrice di parametri ponderati:

  • composizione degli ingredienti principali,
  • presenza e quantità di elementi chiave della dieta mediterranea (olio extravergine d'oliva, legumi, vegetali freschi, cereali integrali),
  • valore territoriale e culturale del prodotto (Dop, Igp, filiera corta),
  • grado di trasformazione,
  • impatto ambientale,
  • e soprattutto aderenza ai principi di stagionalità, territorialità e convivialità.

Questo algoritmo è pensato per essere integrato nei sistemi gestionali della grande distribuzione organizzata, ma anche reso visibile al consumatore, per accompagnarlo verso scelte più consapevoli e coerenti.

Non è un giudizio morale, né una pagella per premiare o punire i prodotti. È un linguaggio condiviso tra industria, distribuzione, ricerca e cittadinanza, che permette di parlare di cibo non solo in termini di costo e gusto, ma di valore culturale, nutrizionale, ambientale e relazionale.

Per questo crediamo che il retail debba e possa ripensarsi: non più solo luogo di consumo, ma spazio di connessione tra città e campagna, tra chi produce e chi consuma, tra chi semina cultura e chi ha il potere di coltivarla.

E forse, in questo processo, l'algoritmo non è un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza.

 

Business Case vs Rigore Scientifico: La Sfida Nova

Nell'algoritmo Human&Green abbiamo integrato la classificazione Nova (ultra-processati) con i principi mediterranei, ma emerge un dilemma commerciale: prodotti Dop storici come l'aceto balsamico di Modena o conserve tradizionali sotto olio extravergine d'oliva potrebbero tecnicamente classificarsi Nova 3-4. Per un retailer, questi sono prodotti premium ad alta marginalità e forte identità territoriale. Come bilanciare rigore scientifico e realtà commerciale? La tua esperienza internazionale suggerisce strategie per portare industry, fornitori e grande distribuzione organizzata verso standard condivisi che non penalizzino le eccellenze italiane?

Questa è davvero una delle domande più complesse - e per me anche una delle più importanti. Perché tocca il cuore della tensione tra modelli scientifici universali e specificità culturali locali. E ci obbliga a chiederci: qual è il limite del rigore scientifico, quando incontra la complessità della vita reale?

Il sistema Nova, nato per classificare gli alimenti secondo il grado di trasformazione, è uno strumento utile per interpretare la crescente industrializzazione del cibo. Ma se applicato in modo rigido, rischia di non cogliere le sfumature e di penalizzare ingiustamente prodotti che sono pilastri della cultura alimentare italiana.

Penso all'aceto balsamico di Modena, alle conserve artigianali sotto olio extravergine d'oliva, ai prodotti fermentati o stagionati: tecnicamente, possono rientrare nei livelli 3 o 4 di Nova. Ma culturalmente, economicamente e socialmente sono tutto tranne che "ultraprocessati" nel senso negativo del termine. Sono testimoni di sapere, territorio, biodiversità e identità.

Ecco perché, in Human&Green, abbiamo lavorato per affiancare alla lente Nova quella mediterranea, costruendo un modello di lettura più integrato, più umano e più sistemico.

Serve una nuova metrica di sostenibilità, ispirata ai principi dell'ecologia integrale, come indicato anche nell'Enciclica Laudato Sì di papa Francesco: una visione che non separa l'ambiente dalla salute, dalla cultura, dalla dimensione sociale ed economica.

Questa prospettiva è la stessa che oggi guida anche i criteri Esg nei grandi fondi di investimento internazionali, che finalmente iniziano a valutare l'impatto non solo ambientale, ma anche sociale e di governance. E se vale per l'energia o per l'industria, deve valere ancora di più per il cibo, che ha un impatto quotidiano, intimo e trasformativo sulle persone e sui territori.

Per questo, la nostra proposta non è mai "contro la scienza", ma oltre la semplificazione. Proponiamo un metodo che:

  • integra il rigore con il contesto,
  • valorizza le eccellenze territoriali senza distorcerne l'identità,
  • accompagna l'industria alimentare nella transizione, senza creare barriere insostenibili.

Lo facciamo con un approccio diplomatico e co-creativo: coinvolgendo consorzi, produttori, distributori, scienziati e comunità locali. Lavoriamo per creare standard condivisi, che siano scientificamente fondati ma anche culturalmente rispettosi e socialmente giusti.

L'obiettivo non è mai punire i prodotti, ma guidarli in una traiettoria di miglioramento, nel rispetto della loro identità e del loro valore simbolico. Anche perché molti prodotti "critici" dal punto di vista della trasformazione possono diventare eccellenti se miglioriamo ingredientistica, processi, trasparenza e impatto ambientale.

E il retail ha un ruolo cruciale in tutto questo: può diventare promotore di questa nuova cultura alimentare, capace di integrare valore economico, impatto positivo e patrimonio culturale.

Non possiamo più permetterci una sostenibilità a compartimenti stagni. Il cibo è troppo importante per essere valutato solo per calorie o processi. È cultura viva. È capitale sociale. È futuro.

 

IL POTENZIALE ECONOMICO DELLA DIETA MEDITERRANEA

€741 risparmio pro capite annuo con adozione completa della dieta mediterranea

+7 mesi di aspettativa di vita media per le future generazioni

15.000-30.000 morti prevenibili ogni anno con interventi dietetici

Fonte: True Cost Accounting of a healthy and sustainable diet in Italy, Frontiers in Nutrition 2022

 

Visione Futura: Il Retail del 2035

Se dovessi immaginare l'Italia del 2035, dopo 10 anni di implementazione del Mediterranean Retail Intelligence, come sarebbe cambiata la spesa quotidiana delle famiglie italiane? E quale ruolo avrebbe il retail nella promozione della salute pubblica e della sostenibilità ambientale?

Il progetto richiede un cambio di paradigma: da retailer "intermediari commerciali" a retailer "promotori di benessere". Quali sono le resistenze maggiori che prevedi nel sistema distributivo italiano? E quali sono invece le leve più potenti per accelerare questa trasformazione?

In un'epoca in cui molti parlano di "sostenibilità" ma spesso in modo superficiale, come distingui tra genuine innovazioni rigenerative e "greenwashing"? E quali sono i criteri che usi per valutare se un progetto sta davvero contribuendo al cambiamento sistemico che promuovi?

Se chiudo gli occhi e penso all'Italia del 2035, dopo dieci anni di implementazione del Mediterranean Retail Intelligence, immagino un paese dove la spesa sarà quasi quotidiana e non sarà più un atto meccanico, ma un gesto consapevole. Un'Italia in cui le famiglie entrano nei punti vendita non solo per "comprare alimenti", ma per nutrire la propria salute, per sostenere la propria comunità, per partecipare a un'economia che ha rimesso al centro la vita.

I supermercati saranno spazi di orientamento e educazione, veri e propri hub di benessere diffuso. Non più solo "intermediari commerciali", ma promotori attivi di stili di vita sani, sostenibili, accessibili e culturalmente radicati.

I prodotti saranno raccontati per ciò che sono davvero: non solo etichette nutrizionali, ma storie di filierarelazioni di fiduciascelte etiche. E il concetto di "convenienza" sarà stato rivoluzionato: non sarà più solo il prezzo al chilo, ma il valore nel lungo periodo, per la salute, per l'ambiente, per l'economia locale.

Questa trasformazione richiede un cambio di paradigma profondo, che non si può delegare a un algoritmo. Serve coraggio. Serve leadership. E servono alleanze nuove tra industria, distribuzione, ricerca, istituzioni e cittadini.

 

Le resistenze?

Le vediamo già oggi. Sono legate al "sistema", all'inerzia dei modelli dominanti, alla paura di perdere margini, alla frammentazione delle competenze, ma anche a una certa sottovalutazione del potenziale educativo del retail. Troppo spesso il punto vendita è ancora visto come canale, e non come ecosistema.

Le leve più potenti?

  • La domanda crescente di autenticità, soprattutto da parte delle nuove generazioni.
  • La trasparenza radicale abilitata dai dati.
  • L'urgenza di risposte sistemiche alla crisi climatica e sanitaria.
  • E soprattutto, il fatto che tutto questo può essere anche una straordinaria opportunità economica, se approcciato con intelligenza e visione.

Ma per distinguere tra chi cavalca la "sostenibilità" per moda e chi lo fa per vocazione, servono criteri chiari. Personalmente, valuto i progetti attraverso alcune domande molto semplici, ma radicali:

  1. Genera un impatto positivo reale, misurabile, duraturo?
  2. Coinvolge più attori della filiera in modo inclusivo e trasparente?
  3. Mette al centro l'essere umano, nella sua salute, dignità e relazioni, oppure si limita a ottimizzare performance ambientali?
  4. Rispetta e valorizza il capitale culturale e sociale del cibo, oppure lo riduce a commodity?
  5. È replicabile e scalabile, senza tradire i suoi principi fondativi?

Se la risposta a queste domande è "sì", allora non è greenwashing. È transizione vera, è sistema che evolve, è futuro che si costruisce. E chi guida la trasformazione, oggi, non è chi ha la tecnologia migliore, ma chi ha la visione più profonda e la coerenza per portarla avanti.

 

Fonte: www.greenretail.news  

Image
© 2025 Green Retail Forum | Planet Life Economy Foundation. All Rights Reserved. | P.IVA 04012730968 | Privacy & Policy
Image