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Vendite al dettaglio e ingrosso, il 98% della CO₂ eq prodotta dalla supply chain

Impossibile rispettare gli obiettivi europei al 2030 sulle emissioni di CO2 se non vengono adottate una metodologia di misurazione standardizzata e piattaforme comuni di condivisione dei dati (tendenzeonline.info).

Il settore del retail e dei mercati all’ingrosso in Europa impiega circa il 10% della forza lavoro comunitaria e coinvolge quasi il 20% di tutte le aziende registrate nell'area, generando ogni anno 1,6 gigatonnellate di emissioni di CO2 equivalenti, pari a un terzo dell'impronta di carbonio dell'Unione. Di queste emissioni, ben il 98% proviene dalle attività a monte e a valle della catena di approvvigionamento, classificate nella rendicontazione del Greenhouse Gas Protocol come Scope 3 (ovvero le emissioni generate da operazioni non direttamente controllate da un'organizzazione, come la catena di fornitura, il trasporto, l'utilizzo o lo smaltimento dei prodotti, ecc., ndr). È il quadro descritto dallo studio , società di consulenza strategica globale, e EuroCommerce, l'associazione che rappresenta il settore delle vendite al dettaglio e all’ingrosso (wholesale) in Europa, e che evidenzia la necessità di un'azione concertata per decarbonizzare il settore, che da solo contribuisce significativamente al riscaldamento globale.

Tra le categorie merceologiche, i sottosettori più impattanti sono rappresentati da cibo e bevande e da salute e bellezza. Insieme queste categorie di prodotti rappresentano i due terzi dell'impronta del commercio al dettaglio e all’ingrosso. Il 73% delle emissioni dipendono dalle attività a monte; nel settore alimentare e delle bevande circa il 39% delle emissioni deriva dalla fase di produzione agricola.

Vista la situazione di partenza, lo studio giudica improbabile che il settore possa stare al passo con l’obiettivo che si è prefissata l’Unione europea di ridurre del 55% le emissioni nette di gas serra (GHG – Greenhouse gas) entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Nel 2022 è stata raggiunta una riduzione del 33%. Per centrare l'obiettivo dell'UE, il settore europeo del retail e del wholesale deve quindi accelerare immediatamente i suoi sforzi di decarbonizzazione. 

La CSRD catalizzatrice del cambiamento

Uno stimolo importante a rimodellare il settore arriva anche dalla direttiva europea CSRD (Corporate sustainability reporting directive) che, soprattutto, dal 2025 in poi imporrà alle aziende con più di 250 dipendenti e con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro o un attivo patrimoniale maggiore di 25 milioni di euro di redigere il report di sostenibilità secondo i nuovi standard europei ESRS (European sustainability reporting standard) che prevedono l’introduzione della certificazione della sostenibilità di tutta la filiera, compresa la divulgazione delle emissioni di Scope 3 prodotte dai fornitori a monte e dai consumatori a valle nell’uso dei prodotti.

L’esigenza di standard unici di misurazione

Tuttavia, data la relativa novità della misurazione di Scope 3, il settore si trova ad applicare una varietà di metodologie di misurazione che impediscono la comparazione dell’impatto dei vari prodotti e di individuare dove le emissioni possono essere abbattute, ma per la sua centralità nella supply chain tra produttori e consumatori può supportare la standardizzazione nelle misurazioni e la trasparenza nella comunicazione delle emissioni.

Raggiungere una misurazione accurata richiederebbe un accordo settoriale sui fondamentali. Gli stakeholder lungo l'intera catena del valore dovrebbero adottare metodologie di misurazione, fattori di emissione e protocolli di scambio dati uniformi e robusti. Nuove tecnologie, innovazioni e modelli di consumo più consapevoli possono contribuire a decarbonizzare le catene di approvvigionamento, i prodotti e il loro utilizzo.

Dai dati secondari verso i dati primari

L'allineamento può avvenire a livello europeo, nazionale o di sottosettore, con il coinvolgimento di attori chiave come le associazioni di categoria, i consorzi e le stesse aziende.

Oltre alla standardizzazione, è necessario migliorare l'accuratezza e la rilevanza del reporting delle emissioni. Le aziende del retail dovrebbero passare da fonti di dati secondari a valutazioni complete del ciclo di vita (LCA) basate su dati primari.

Questo secondo approccio, applicabile con risultati molto dettagliati soprattutto sui prodotti a marchio proprio, consente un controllo rigoroso anche sulla progettazione o sulle modalità produttive, migliorando la capacità dei rivenditori e dei grossisti di identificare e implementare leve di riduzione delle emissioni. Al contrario, i rivenditori e i grossisti con meno trasparenza nella loro supply chain spesso si affidano a stime basate su dati secondari, cioè frutto di studi settoriali. Questa disparità nella metodologia porta a significative incoerenze nel reporting delle emissioni, complicando i confronti accurati degli impatti del carbonio anche all'interno della stessa categoria di prodotti.

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